Perchè Magazzini si è inoltrato in quei luoghi a tal punto da farne un must della sua pittura?
“L'aria è più cristallina, non ci sono nebbie, non c'è fuliggine, non c'è la chimica, i colori sono vegetali così come le cromie dei vestiti delle persone. E poi mancano gli orpelli dei cartelloni pubblicitari, quindi il paesaggio è scarno, sintetico, c'è già una sintesi. A differenza di tanti paesaggisti è che io cerco di tirare fuori dai luoghi una certa anima. Un luogo non è pura scenografia, solo se si riesce a tirare fuori quell'essenza ecco che il paesaggio diventa vitale”.
In quarant'anni di pittura, Magazzini ha ricevuto tanti complimenti, ce n'è uno che gli ha fatto particolarmente piacere?
“ E' stato quando mi hanno definito un pittore vero, che lavora con una certa sincerità senza tante suggestioni. C'è una frase di Mario Luzi che ricordo con piacere, il quale definì la mia pittura “un'arte pulita, ferma, convincente”. Probabilmente queste tre parole, dette in maniera istintiva istintiva da parte di Luzi, sono quelle che centrano più di tutte il mio lavoro”.
Perchè predilige i paesaggi?
«Più che di paesaggi parlerei di luoghi che hanno per me qualcosa di misteriosamente inquietante. Un muro storto o la particolare angolazione di una casa suscitavano in me qualcosa di indefinibile a cui riesco a dare il nome di inquietudine. I primi luoghi rappresentati sono per lo più quelli della mia infanzia e giovinezza: Quarrata, il Montalbano. Mi colpivano le case, certe case, le campagne, i cascinali, con i loro misteriosi silenzi. Quasi mai rappresento le persone e, quando compaiono esse sono simili a masse, quasi spersonificate. Mi interessano i luoghi più delle persone: queste passano, i luoghi rimangono».
Il suo percorso artistico è legato ai viaggi?
«E' proprio così. Dalla Toscana alla progressiva 'scoperta' del Sud: l'Abruzzo, la terra di mia madre, la Puglia, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna, la Basilicata. La Sardegna ha rappresentato la mia svolta pittorica: più solarità, meno orpelli, paesaggi essenziali. Infine, l'Africa, soprattutto il Maghreb. Tutto è nato quasi per caso, su una rivista vidi le immagini delle concerie con colori che mi colpirono per la loro forza e nitidezza».
Affascinato dai colorì del Magreb?
Cominciò nell' 89 il mio primo viaggio in quei luoghi. Da allora il Marocco è il tema principale dei mici quadri. Sono stato affascinato dalla calda gamma dei rossi, giallo, arancio, dall'inteso blu del cielo. Prima dei miei viaggi artistici in Marocco, Egitto, Tunisia, io, per qualche inspiegabile ragione, non riuscivo ad usare il rosso; non mi apparteneva, prediligevo il verde e il blu. Ora non posso farne a meno. Non ho paura di accostare un rosso acceso, accecante, accanto a qualsiasi altro colore. Le terre del Maghreb rappresentano perciò non solo la tappa di un viaggio , ma anche e soprattutto la tappa di un percorso intcriore e artistico».
C'è "il" quadro di Magazzini?
Ci sono delle cose vecchie che io cerco di ricomprare e non mi riesce. Sono dei casolari in Maremma: ecco, quello che per me è "il" quadro.
Si è mai ispirato a qualche artista contemporaneo?
Remo Lazzerini mi ha insegnato il mestiere nel senso della raffinatezza del tono, della giustezza che io in passato non avevo. Ero un pittore viscerale, istintivo, quasi informale. Poi il suo rigore ha iniziato a rimanermi stretto, perché imbrigliava la mia emotività.
Fra cent'anni Salvatore Magazzini come vorrebbe essere ricordato?
“Come un coerente. Perché in questa situazione avrei tante cose da dire, da criticare, da fare. Vorrei essere ricordato come uno che ha fatto arte figurativa senza farsi abbagliare da bluff come le istallazioni e le performance. Un coerente tra la vita e l'opera, che forse ha un valore”.
Dall'intervista rilasciata dall'artista in occasione della personale a Villafranca ("luoghi dei viaggi", 2008).